Goooodmoring FollowHz! A 10 anni dall’apocalittico 2012, ripercorriamo il legame tra giochi elettronici e la fine di tutti i giorni.
Il calendario Maya
Per chi non l’ha vissuto il 2012 è solo una storiella. Partiamo dal principio: nella cultura Maya il tempo veniva misurato in base a tre calendari. Un sistema molto complicato di segnare le date, comune in altre culture mesoamericane, legato principalmente alle credenze religiose. Uno di questi calendari, infatti, misurava il tempo in base a cicli non ricorrenti detti “b’ak’tun”, della durata di 144 000 giorni, che partivano dalla presunta data di inizio di tutte le cose. In realtà però, per i maya, la creazione non era avvenuta una sola volta: gli dei avrebbero dato origine all’universo in tre occasioni per poi distruggere tutto altrettante volte ritenendo il risultato fallimentare.
Insomma degli “dei” capricciosi che se non gli andava bene quello che avevano disegnato buttavano tutto, come si fa con un pezzo di carta appallottolato lanciato dentro il cestino (chissà se cercavano anche loro di fare canestro…).
L’ultimo ciclo
Ebbene, secondo un’interpretazione di una profezia Maya (smentita da studiosi del settore ma che negli anni ha trovato molto seguito) la fine di tutte le cose sarebbe arrivata al termine 13º b’ak’tun.
Nel corso dei secoli a qualcuno (probabilmente per noia) è venuto in mente di adottare il calendario Maya a quello gregoriano (che oggi giorno utilizziamo per segnare quante settimane mancano alle vacanze). Nel farlo è stato calcolato che la fine del ciclo numero 13 sarebbe arrivata proprio il 21 dicembre 2012.
In base a questo contorto ragionamento (errato per di più, visto che l’adattamento del calendario sarebbe essere anch’esso sbagliato) mentre viene scritto questo articolo l’intero creato dovrebbe essere solo un cumulo di macerie o qualcosa del genere.
Delirio di massa
Poiché questa “profezia Maya” ha avuto molto seguito negli anni, nel 2012 moltissime persone erano convinte che sarebbe arrivato l’Apocalisse. Naturalmente, credenze catastrofiche così diffuse hanno generato bizzarrie varia: tra chi si è interrato in un bunker, gente che inondava il sito della NASA di mail per chiedere spiegazioni. Il tutto esaurito negli alberghi delle “località immuni”, alcuni piccoli Comuni in Italia e Francia che per qualche ragione qualcuno credeva si sarebbero salvati.
Naturalmente una simile psicosi collettiva ha avuto riflessi anche nel mondo dell’arte: non si contano i romanzi dedicati a questo tema oltre al film, dal titolo didascalico, “2012” (uscito nel 2009).
L’apocalisse nell’universo videoludico
Per i videogiochi la fine del mondo era già arrivata da un pezzo! Quello della distruzione del creato è un tema ricorrente nei videogiochi, i post-apocalittici sono una categoria ben definita nel panorama videoludico. A memoria di chi vi scrive si possono citare ad esempio Fallout (la cui saga ha avuto inizio nel 1997) o Metro Exodus, ma la lista è veramente lunga. D’obbligo citare il “miglior gioco del 2012” ovvero The Walking Dead.
Con riferimento proprio al 2012 sono due i titoli da segnalare: il primo Assassin’s Creed III, dove il protagonista deve cercare di evitare un cataclisma solare che si abbatterà sulla terra il 21 dicembre 2012. Di segno opposto Raving Rabbids Travel in Time, dove il tema è affrontato in maniera ironica con il mondo che viene distrutto dai Rabbids con la loro macchina del tempo.
Inizio e angoscia
Agli occhi di chi vi scrive l’aspetto più interessante, di molti dei giochi rientranti nella categoria dei post-apocalittici, è la ricorrente destrutturazione della società. Infatti, quello della fine del mondo è solo uno “stratagemma narrativo” per introdurre un’ambientazione con strutture sociali che, sebbene famigliari agli occhi del giocatore, rappresentano una realtà totalmente differente. Nessun tipo di “istituzione” simile agli Stati con le loro regole, regole inesistenti o nuove leggi. Nei videogiochi (così come in altre rappresentazioni artistiche) si trova tutto ciò, e gli autori normalmente qui più che in altre “arti” sono veramente liberi di spaziare e far immergere l’utente in mondi completamente nel caos.
Tutto ciò con l’unico scopo di far emergere sensazioni differenti nel giocatore tra questi c’è l’angoscia. Quello stato di ansia continua per un mondo in disfacimento, per un futuro incerto, quell’apprensione per tutto ciò che si conosce e a cui si è legati.
Ripetersi degli eventi
Ecco proprio quell’angoscia che si respirava nel dicembre 2012. Tra chi ci credeva e chi no (ma sotto sotto aveva paura ugualmente) in quel momento il mondo stese col fiato sospeso, in uno stato d’angoscia collettivo per una fine del mondo annunciata e temuta.
Aldilà di come andò (cioè non successe nulla) ciò che sorprende è che a 10 anni di distanza quella stessa apprensione e paura per un domani indecifrabile si è nuovamente ripresentata nelle nostre vite ma, questa volta, sotto forma di una concreta crisi (pandemica).