Bentornati cari FollowHz,
State pronti per esplorare l’ignoto!
Esistono videogiochi che spingono il loro genere di appartenenza verso frontiere inesplorate. Resident Evil Village è per questo unico ma controverso.
L’orrore videoludico ha da sempre affascinato i più grandi maestri del genere rinomati in altri medium. L’interattività ed espansione narrativa che il videogioco offre è impareggiabile, e permette di coniugare l’incredibile abilità di sceneggiatori e ideatori di storie con un protagonismo del giocatore impossibile in Film o Serie Tv. Proprio per questo gli sviluppatori in grado di esaltare queste caratteristiche dell’horror hanno fino ad ora ottenuto incredibile riscontro, come testimoniato da mostri sacri del calibro di Silent Hill, P.T., Devotion e F.E.A.R.
Parlando di capostipiti dei survival horror è improponibile non soffermarci su Resident Evil, una saga che riesce nell’intento di traslare le più grandi produzioni di tematica zombie per esaltarne le componenti ansiogene, e donare un aspetto fondamentalmente cinematografico a opere chiaramente ispirate ai grandi cult del cinema d’autore. Una serie che però spesso e volentieri ha cambiato la propria identità, fino alla nuova trilogia iniziata da Resident Evil 7.
Un mutamento che però reputo necessario, e che anzi ha spinto le potenzialità del franchise di Capcom verso vette che reputavo inesplorate. Proprio per questo non posso non ritenere Resident Evil Village un prodotto audace e sorprendente, che seppur presenti gli stessi problemi concettuali del predecessore, comunque pone le basi per una nuova tipologia di survival horror.
Resident Evil Village: C’era una volta…
I contenuti di Resident Evil Village, nella loro varietà e amore per le ispirazioni letterarie presenti, sfiorano una poetica perfezione che stupisce di continuo senza mai annoiare lo spettatore. Iniziamo subito con il dire che il gioco in se è privo del pathos che genera situazioni di vera paura, puntando piuttosto nella creazione di un immaginario rivoltante che saprà stupirvi in quanto a originalità. Il plot di Resident Evil Village si basa su un cliché del genere, unico collegamento con la saga di appartenenza che il videogioco possiede, per poi sfociare in novità mai viste dai fan, completamente scollegate dall’epopea dell’Umbrella Corporation.
Ho visto molti definire Resident Evil Village una fiaba nera, una storia inquietante che però permette a un dolce fanciullo di addormentarsi nel rassicurante letto. In realtà definirei il colossal di Capcom più come un eccezionale incubo lucido, che di continuo punta a mostrare al giocatore il dolore più estremo e fin dove la corruzione del mondo può spingersi. Parliamo di un dolore corporeo quasi esagerato, ma che di sicuro rende bene nel fattore atmosfera che il gioco offre.
Dunque, a musiche non iconiche ma funzionali e uno stile artistico molto ispirato, si affianca una caratteristica che anche Resident Evil 7 proponeva come base di partenza per parti del racconto. Parlo chiaramente del grottesco, una tematica caratterizzata da tutti quegli orrori e scene gore che, prendeno spunto in maniera erronea ed esagerata dalla bellezza Lovecraftiana, non fanno altro che creare un continuo senso di disagio nei confronti del giocatore, che al posto di sentirsi divertito non può far altro che sperimentare una voglia irrefrenabile di posare il pad. Senza ritegno posso dire ed affermare che, dal mio punto di vista, questo è un grave problema dell’opera, che tra mostri tentacolari deformi e un continuo giocare sul fattore carne umana non fa altro che accrescere quest’orrida sensazione, con scene piazzate in maniera costantemente decontestualizzata.
“Sin dalla prima volta che abbiamo messo le mani su Resident Evil Village, grazie alle tre demo (non ci scordiamo infatti di Maiden), siamo rimasti piacevolmente stupiti dalla qualità grafica del titolo di Capcom. Le texture dettagliate e gli elementi ambientali veramente ben fatti aiutano il giocatore ad entrare ancora di più nell’esperienza di gioco: la neve che cade sui tetti delle case del villaggio o ancora, i riflessi della luce emessa dal fuoco dei vari camini sparsi nel castello che mettono in risalto i vari componenti d’arredo. Da un punto di vista tecnico l’esperienza di gioco varia di poco a seconda di quale console Sony stiamo utilizzando. Su PlayStation 4 la risoluzione del gioco si attesta intorno ai 1000p con un framerate tra 50 e i 60 punti al secondo, mentre su PlayStation 4 Pro in modalità 1080p con 60 frame. Su PlayStation 5, con il Ray Tracing arriviamo a poco meno di 60fps ma disattivandolo, il framerate girerà a 60 fps fissi. Le differenze tra le varie console Sony non consistono solo nelle caratteristiche grafiche. Su PlayStation 5 il gioco include la possibilità di attivare o meno i sensori di movimento sul DualSense, andando così ad aggiungere un nuovo tipo di esperienza di gameplay rispetto a quella standard. Il cosidetto Gyro Aiming è stato implementato solo su PS5 e consiste nell’utilizzo fondamentalmente dei controlli di movimento per scopi di mira che quindi tendono ad essere più precisi rispetto all’utilizzo di una levetta o un touchpad. Il movimento dello schermo può essere eseguito tramite la levetta.”
Resident Evil Village: Shooting Star
Il primo dettaglio che il giocatore può notare procedendo nella sua avventura in Resident Evil Village è un sistema di combattimento controverso, quasi fuori luogo in relazione alla tipologia di gioco che gli si presenta davanti. Un concetto non necessariamente negativo, ma che anzi glorifica un gunplay di tutto rispetto. A livelli di difficoltà elevati i nemici saranno davvero ostici da eliminare, e la quantità elevatissima di proiettili identificabili in giro per lo scenario non saranno mai abbastanza.
L’effettiva utilità delle armi da fuoco, però, si manifesta solo in frangenti specifici del gioco, con tanti altri contesti in cui l’uso di proiettili sarà puramente scenografico, seppur saremo portati a sparare contro i nemici intorno a noi per un lavoro incredibile d’immersività. Infatti sarà frequente trovare scene in cui, al presentarsi di nemici, non dovremo far altro che aspettare il manifestarsi della cutscene che salverà il caro protagonista Ethan Winters, ed è proprio in quell’attesa che daremo fondo al caricatore senza sapere l’inutilità della nostra effettiva azione. Qualcosa d’incredibile, e che mai avevo visto nell’ambito orrorifico.
Non abbiamo però citato l’arsenale a nostra disposizione, di portata davvero mastodontica contando la varietà di armi a nostra discrezione. Un’idea che mette in risalto come Capcom abbia impostato Resident Evil Village con intenzioni fortemente Pop, offrendo un’esperienza completa e un viaggio inimmaginabile che possa mettere in mostra ciò che fin’ora si è riusciti a creare nel campo del terrore. Dunque per arrivare a quell’originalità decantata all’inizio di questa recensione non si deve far altro che passare per tutto ciò che fin’ora si era già visto nel settore, amalgamando il tutto con le intenzioni del team di sviluppo. La domanda però sorge spontanea: era davvero necessario dover prendere da altri per creare qualcosa di nuovo?