Goooodmoring FollowHz! Folle, elettrizzante e assolutamente divertente. Burnout Revenge è uno di quei giochi che ha segnato l’infanzia e l’adolescenza di molti.
Chi vi scrive ci giocava su Xbox e neanche ricorda come diavolo sia entrato in casa, ma andiamo con ordine.
La saga
Facciamo un piccolo ripasso, anche se per molti non ha bisogno di presentazioni, il franchise “Burnout” nasce nel 1999 per mano della Criterion Games, viene pubblicato dalla Acclaim Entertainment fino al 2004 quando l’azienda va in bancarotta e il tutto passa alla Electronic Arts così come la stessa Criterion Games che nel medesimo anno finisce anch’essa nell’universo EA.
Gli stessi di FIFA e The Sims mettono le mani su quello che allora (come oggi) è uno dei titoli più noti nel panorama videoludico: prima dell’arrivo di EA erano usciti il capostipite Burnout e Burnout 2: Point of Impact.
Da lì in poi è un crescendo anche a livello qualitativo: tra il 2004 e il 2011 vengono sfornati 6 titoli a marchio Burnout per svariate piattaforme.
Ritorniamo a noi
Ecco di quella mezza dozzina ad un piccolo “me” finisce in mano il secondo frutto dell’era EA cioè Burnout Revenge. Si tratta in sostanza di un’evoluzione di Burnout 3: Takedown con qualche aggiunta tipo la modalità “Traffic Attack”, che si va a sommare ad altre più classiche come la gara a tempo o quella ad eliminazione.
La bellezza di Burnout sta nel fatto che, a differenza di altri giochi arcade di guida, l’obiettivo principale o via unica per vincere non è guidare bene ma speronare chiunque ti capiti a tiro. Ad esempio: stai correndo con un avversario? Speronandolo acquisti un boost di velocità oltre a guadagnare la posizione, cosa superflua rispetto allo slow motion dell’auto avversaria a mezz’aria che parte ad ogni scontro (non è fastidioso come in altri titoli).
Nella modalità “Traffic Attack” guadagni punti e soldi andando addosso a qualsiasi auto che capiti in giro durante una classica “ora di punta”.
Il camper o la più anonima delle berline vanno bene purché facciano una fine spettacolare. C’è un enorme “ma”: se becchi un’auto contromano o un muro è la “fine dei giochi”, però se gli vai talmente vicino da rischiartela allora guadagni anche in quel caso.
Ecco è questo che rende Burnout unico, il rapporto pericolo/guadagno: è l’adrenalina effervescente che ti dà andare vicino al “game over” e che ti spinge a fare un’altra partita.
Altra caratteristica da apprezzare è che non è un gioco splatter: a differenza di un Carmageddon o un GTA non c’è una copiosa pioggia di sangue se becchi un’altra macchina e non ci sono neanche i pedoni da schiacciare tipo il mattarello della nonna con la pasta la domenica.
I particolari
Quando ci si affaccia ad un gioco da piccoli negli anni si portano dentro dei piccoli particolari, minuzie che col “senno del poi” sembrano insignificanti eppure sono impresse a fuoco nella mente. Nel mio caso sono proprio le fiamme di Burnout Revenge a rappresentare un ricordo vivido: la barra del N2O è una rettilinea fiammata in basso a sinistra talmente ben fatta da essere realistica anche dopo anni dall’uscita del titolo.
Altra specifica è rappresentata dalle macchine: non sono delle riproduzioni di veri veicoli ma prendono spunto da auto realmente esistenti senza violarne il copyright. È una sostanziale differenza rispetto ad un altro caposaldo EA, Need For Speed, che ben si concilia con un gameplay che non punta a far guidare al giocatore l’auto dei suoi sogni ma a ridurre in ferraglia il più alto numero possibile di mezzi.
Una Remastered di Burnout Revenge
Rimanendo su Need For Speed, storicamente è stato proprio quest’ultimo a spuntarla in casa EA: come detto dal 2011 si è interrotta la serie Burnout mentre NFS ha avuto una lunga vita fino ai giorni nostri, con tanto di remastered dei titoli più giocati senza dimenticare i già citati “travasamenti” di gameplay da Burnout proprio in NFS. Una parentela quest’ultima ben evidenti in Hot Pursuit e nel reboot del 2012 di Most Wanted.
Sembra, insomma, aver vinto una maggiore attenzione al realismo anziché un gameplay più originale. Quanto meno a prima vista: se è stata così sentita la necessità di riversare parte del gameplay di Burnout in NFS perché non fare una remastered dell’originale invece di accontentarsi piazzando spezzoni qua e là? Perché non riproporre Burnout Revenge?
Tiriamo le somme
Ecco se siete gamer da quando andavate alle elementari sapete bene come i giochi della propria infanzia occupano uno spazio speciale nella mente. In questo piccolo editoriale c’è la somma di quelle piccolezze o grandezze che rendono Burnout Revenge un gioco sensazionale per chi scrive.
Eppure, guardando quegli stessi fattori è spontaneo chiedersi se una remastered ne varrebbe la pena anche oggi. Perché di giochi arcade ce ne sono tanti e alcuni di quei fattori sono stati replicati, però quell’autoscontro realistico di Burnout Revenge è irripetibile. L’unico modo per scoprilo e far rigiocare questo e altri vecchi giochi a chi oggi ha 6 anni, l’unico modo per riavviare la magia.
Cosa ne pensate? Avete avuto anche voi l’occasione di mettere le mani su un Burnout? Fatecelo sapere nei commenti!