Cari FollowHz,
Oggi affrontiamo un argomento molto delicato, anche chi non si interessa dell’argomento a volte sente la classica notizia “Streamer guadagna -inserisci cifra a scelta- solo per giocare ai videogiochi” e inizia il dibattito tra due schieramenti, è un lavoro o no?
Prima di snocciolare l’argomento ringrazio Antonio “Aurenar” Patti de La Decima Arte con cui ho scritto l’articolo insieme fondendo i nostri pensieri creando un unico articolo con le nostre idee in merito.
Spesso per accendere la miccia basta anche un meme ad esempio: Il padre torna a casa dopo dodici ore di lavoro massacrante. Il figlio (bambino o adolescente) lo accoglie dicendo di aver donato una grossa somma di denaro al proprio streamer preferito. Chiude il meme la faccia affranta del padre di fronte allo “spreco di denaro sudato”.Provate solo ad accennare al fatto che le donazioni sono lo stipendio dello streamer e verrete attaccati da una massa di gente infinita perché lo streamer “non fa niente”, senza parlare poi del brillante della situazione che scrive: “Lavoro al 118, ho studiato tutta la vita, salvo le persone ogni giorno e lotto contro la morte. Loro cosa fanno di utile?”.
Qui non resta che alzare le mani in alto e arrendersi all’evidenza che, almeno in Italia, la gente è ancora ignorante rispetto a questi tipi di impresa.
Streamer, Youtuber, Influencer, sono lavoro
La categoria più in difficoltà a farsi riconoscere come lavoratrice è appunto chi crea contenuti audiovisivi usando i videogiochi: molti credono che fare un video di, ad esempio, 15 minuti impieghi appunto 15 minuti e quasi zero spese.
Io quando sento questo tipo di argomentazioni, farei vedere tutto il dietro le quinte di un video finito come: luci, montaggio, idea, sceneggiatura, registrazione e tutto i processo di editing e pubblicazione;
Non è semplice e soprattutto bisogna essere capaci di usare gli strumenti adatti e in alcuni casi spendere anche soldi per attrezzature, software e perché no il nuovo videogioco da usare per il video.
Queste categorie sono intrattenitori come i soggetti televisivi, come una persona 40enne vede il talent show, l’adolescente guarda la puntata del suo Youtuber o Streamer preferito che va avanti con la storia di quel videogioco come fosse una serie TV.
Quando spieghi ciò, potrebbero dirti che sono bravi e anche loro sanno fare i video perché fanno i collage delle foto della cresima del cugino, è vero, tutti possono fare live su Twitch e tutti possono pubblicare su YouTube, ma in quanti sbarcano autenticamente il lunario?
Quanti sforzi, in termini economici e fisici, occorre fare e quanto tempo passa, prima di incassare il tanto, sperato, stipendio che ti permette di vivere?
Molti pensano che ‘poco’ sia la risposta a tutte queste domande ma la verità non è questa, occorre fare tanti sacrifici, anche economici e di investimento come un imprenditore di sé stesso e questo, tanti, lo ignorano.
Il ruolo di chi intrattiene in diretta su Twitch, o pubblica su YouTube e si fa in quattro per creare un canale di qualità è ad oggi: sminuito, umiliato e anche offeso. Farsi largo e diventare un imprenditore di successo in questo campo, in Italia, è certamente ostico.
Lavoro e videogiochi diventerà un accostamento normale, accettato, quasi scontato, ma non nel 2020, tuttavia qualcosa sta lentamente cambiando.
Lavoro lontano da Internet?
Possiamo anche dire che fuori da internet esiste comunque un lavoro accettato, come negoziante, ma chi si cimenta scopre in fretta che il peso di grandi catene quali: GameStop, Euronics, MediaWorld, Unieuro e tanti altri grandi distributori esercitano delle politiche di prezzo aggressive, che un piccolo commerciante non può sostenere.
Inoltre, con l’espandersi degli eSports c’è chi vede la gallina dalle uova d’oro nella concezione e poi realizzazione di “eSports Bar” oppure “eSports Palace”.
Ma i costi di gestione, lasciatevelo dire, sono astronomici e in Italia non c’è grande pubblico per il concetto “pagare per giocare”. Tutti (o quasi) giocano da casa e va bene così. Gli “imprenditori eSports” devono soffrire molto e fare enormi sacrifici per riuscire, soprattutto in Italia.
Lavoro come sviluppatore?
Gli sviluppatori italiani voglio dividerli in due macrocategorie. Da un lato abbiamo Ubisoft Milano, il più illustre esponente di studi di sviluppo in seno a multinazionali multimiliardarie. In questo insieme inserisco anche: Milestone (Ride, Screamer), Kunos Simulazioni (Assetto Corsa), NAPS Team (Gekido, Baldo) e Gamera Interactive (Alaloth) e altre realtà italiane di assoluta eccellenza che riescono a muovere grandissimi numeri, soprattutto all’estero. Dall’altro lato ci sono schiere di sviluppatori in erba, appassionati creativi, squadre di “amici di trincea” che alimentano le braci di quel calderone che chiamo indie italiano.
Se i grandi sviluppatori tricolore non hanno bisogno di presentazioni e stanno lì a dimostrare a tutti che investimenti, progetti e saperci fare contano sempre più di tantissimo altro, i piccoli sviluppatori potrebbero raccontare una realtà ben diversa. Penso a tutti i piccoli programmatori di videogiochi che quasi si vergognano di dire che lavoro fanno. Quando non si vergognano, devono comunque sopportare una bella lista di frasi che vanno dal “perché, è un lavoro?” al “ma un lavoro vero e utile e soprattutto remunerativo?”.
Lavorare nel mondo dei videogiochi, in Italia, mi sembra più difficile che in altre parti d’Europa. La chiusura mentale, la grassa ignoranza o la semplice superficialità sono intemperie – quando non piaghe – che tutti coloro che sognano di voler sbarcare il lunario, lavorando nella loro più grande passione, devono affrontare.
Ringrazio nuovamente Antonio “Aurenar” Patti de La Decima Arte per avermi aiutato a raccogliere informazioni e a dividere i nostri due articoli in una sola idea.
Ora tocca a voi esprimere le vostre idee e considerazioni.
Cosa ne pensate?
I videogiochi saranno visti come un lavoro vero?
Voi avete avuto discussioni simili?