Bentornati cari Followhz,
State pronti per esplorare l’ignoto!!!
Si sente spesso parlare in epoca moderna del concetto di Crunch, definito da molti la rovina dell’industria videoludica. L’ammontare di tempo svolto in ufficio da molti sviluppatori in periodi vicini all’uscita di cult del videogioco spesso supera le 50-80 ore di lavoro, un dato disumano che vede molti ragazzi talentuosi costretti a farsi le occhiaie su schermi pieni di stringhe di codice o animazioni da rifinire. E se pensate che i recenti rimandi possano migliorare la situazione, mi dispiace per voi ma ciò ha portato ad un peggioramento burrascoso delle cose. In particolare a quali aziende possiamo riferirci per condurre questa stima?
Soffermandoci sul panorama occidentale della problematica, i massimi esponenti sono ovviamente CD Projekt Red e Rockstar Games, colossi le cui enormi produzioni richiedono ingenti ore di lavoro e un team sempre pronto a curare ogni minimo dettaglio. Incredibile pensare come le loro recenti opere abbiano richiesto l’utilizzo di un budget immenso, adatto esclusivamente a capolavori cinematografici da Oscar e che invece vengono investiti in un enorme ecosistema virtuale. Dunque ritardare una uscita per problemi di tempo può essere poco fruttuoso e anzi disastroso per le finanze di queste aziende. Il fine però non giustifica i mezzi, nonostante Red Dead Redemption 2 e Cyberpunk 2077 abbiano numerosi anni di sviluppo alle spalle. Ma quali sono le vere motivazioni che hanno spinto i CEO a prendere queste misure molto drastiche? Il tutto è incentrato solo su orari massacranti e scadenze da rispettare o qualcun altro intercede con richieste ossessive?
Spostandoci in terra d’oriente quest’argomento viene visto con una concezione completamente diversa. Purtroppo ciò che per noi sembra disumano è divenuto nel paese del Sol Levante all’ordine del giorno. Basta citare alcuni dei produttori più famosi per renderci conto che perfino celebrità del gaming sono state protagoniste di questa pesante condizione. Ad esempio se pensiamo a Masahiro Sakurai, padre di Super Smash Bros Ultimate, non potremo mai immaginare che nel periodo di creazione del suddetto picchiaduro sia stato costretto a farsi delle flebo per una malattia intestinale rimanendo comunque nella sua postazione in ufficio. Qui però si entra anche in una branca del mondo lavorativo che in ogni ambito risulta essere molto dibattuta, ovvero la sindrome dello stacanovista, molto presente anche in situazioni stressanti o pressanti, cosa molto diffusa in Giappone e che ha riscontrato una indifferenza generale. Basta andare dall’altro lato del globo per ottenere subito un cambiamento radicale delle ideologie, ma il filo conduttore velato che anche in questo caso risulta essere fondamentale rimane sempre uno.
Senza alcun dubbio mi riferisco a noi fan, videogiocatori oppressivi che spesso e volentieri siamo la causa maggiore di queste ore di lavoro eccessivamente stancanti. Sembra riduttivo considerare quest’ipotesi basandosi solo sulle mie parole al vento ma ho ben due esempi per farvi capire la gravità di certe situazioni riscontrabili nelle community più acide del nostro medium. Iniziamo con Final Fantasy XV, molto atteso dagli appassionati, ma che è stato al centro di polemiche infinite per uno sviluppo dai lenti ritmi durato fin troppo. L’oppressione degli storici amanti di Square Enix ha costretto gli sviluppatori a mettere in atto quest’inevitabile e assurdo sfruttamento. Oppure potete osservare la Game Freak, che ha deciso di far uscire un gioco non finito (sfruttando poi l’opzione dei DLC) poiché gli allenatori chiedevano a gran voce un nuovo capitolo della saga. Io quindi credo fermamente che il Crunch sia una pratica da evitare con metodi alternativi e abbastanza convincenti, ma al contempo chiedo a noi Nerd, Otaku e Geek di limitare i nostri approcci ossessivi nei confronti dei ragazzi che sfornano i capolavori da noi tanto amati, in quanto non dobbiamo considerarli delle macchine senza un cuore che batte nel petto.