Benvenuti, o affezionatissimi FollowHz, in questa terza puntata di Le Storie del Corvo!
E’ passato un bel po’ di tempo dalla pubblicazione di The Witcher, quasi dodici anni da quando il primo fantastico capitolo della serie dedicata a Geralt di Rivia, lo strigo senza padroni o patria fedele soltanto al proprio codice d’onore, è apparso sulla scena stregando (parola più appropriata non poteva esserci) milioni di giocatori in tutto il mondo.
C’è da scommetterci un occhio è un piede che non pochi di questi fan del lupo bianco saranno prima passati per la lettura dei racconti a lui dedicati, oppure, all’opposto, avranno scoperto le storie scritte dopo aver svolto le innumerevoli missioni che ogni singolo episodio della trilogia a firma CD Projekt RED ha riservato loro.
Storie queste nate dalla pena di un grande romanziere, uno dei più illustri eredi dell’indimenticabile professore di Oxford J. R.R. Tolkien e degno collega di George R. Martin (qualcuno potrebbe addirittura affermare che, come scrittore fantasy, potrebbe arrivare ad essergli perfino superiore), ovvero sua illustrissima eccellenza Andrzej Sapkowski, un personaggio che, a leggere la sua biografia, si potrebbe rimanere quasi increduli del fatto che abbia potuto ottenere un tale successo: chi si aspetterebbe mai che un laureato in economia, di professione rappresentante alla vendita per una società commerciale, avrebbe deciso di dedicarsi alla narrativa realizzando alcuni dei pilastri imprescindibili della odierna letteratura fantasy mondiale?
Ben pochi sarebbero stati disposti a scommettere su un risultato di questo genere, eppure i risultati sono lì a testimoniare ciò che il Sig. Sapkowski è stato in grado di creare nel corso di anni di duro lavoro dedicati alla scrittura.
Cosa ancora più strabiliante è il fatto che tutto sia nato “quasi per caso”, quando Sapkowski decide, da appassionatissimo lettore di libri e romanzi fantasy, di presentare un proprio racconto al concorso indetto dalla rivista letteraria Phantastyka intitolato Wiedźmin (Lo Strigo) nell’anno di grazia 1985.
L’opera vedrà la luce sulle pagine della rivista l’anno successivo e, pur classificandosi terza, ebbe un riscontro più che positivo presso i lettori, i quali cominciarono a richiedere altre storie dedicate al personaggio: a quel punto il nostro Sig. Sapkowski decide che la cosa può funzionare e comincia a dar vita a un racconto o due all’anno, andando avanti per alcuni anni fino a dar vita a due raccolte complete (“La spada del destino”, del 1992, e “il guardiano degli innocenti” del 1993), cui fece seguito un intero ciclo di 5 romanzi ispirato ai modelli dei grandi classici creati da Marion Zimmer Bradley e Roger Zelazny che, dopo un iniziale momento di difficoltà dovuto allo scetticismo di gran parte delle case editrici polacche (le quali non credevano ci fosse sufficiente mercato per autori che scrivessero in lingua polacca), a partire dal 1994 (anno dell’uscita del primo capitolo “il sangue degli elfi)” poterono finalmente vedere la luce grazie all’iniziativa di un editore più propenso a rischiare (SuperNowa), e il successo derivatone fu travolgente!
A questo ciclo di romanzi (pubblicati annualmente dal ‘94 fino al ‘99 e usciti in Italia a partire dal 2012) fece seguito un nuovo libro, quello che costituisce la conclusione dell’intera Saga di Geralt di Rivia pur non essendo da intendersi come vero finale dell’epopea dello Strigo (di fatto la serie si conclude con il capitolo la Signora del Lago) andando piuttosto a narrare eventi ambientati a ridosso delle vicende già precedentemente riferite nella raccolta “il guardiano degli innocenti”.
In tutta questa vasta produzione letteraria, sono innumerevoli le influenze che hanno contribuito a definire i contorni della meravigliosa opera di Sapkowski:
si passa da più classici motivi di ispirazione celtica già presenti in Tolkien e Robert Howard (basti pensare al soprannome di Geralt Gwynbleidd, “lupo bianco” chiaramente ispirato alla lingua gallese, o al nome di Riannon, figlia adottiva di Cerro, regina di Redania, riferimento esplicito riferimento al personaggio di Rhiannon presente nell’opera medievale gallese I quattro rami del Mabinogi, o i luoghi come Kaer Morhen, in Lingua Antica Caer a’Muirehen, dal sapore vagamente gaelico) a quelli propri della tradizione leggendaria e popolare slava e polacca (su tutti, vale la pena ricordare la genesi del primo racconto Wiedźmin che, come spiegato da Sapkowski, era stato concepito come rivisitazione di una vecchia fiaba del proprio paese), passando per elementi della più generale tradizione fiabesca occidentale (negli ambienti della saga compaiono esseri quali elfi, gnomi, unicorni, draghi, grifoni, arpie) che fusi insieme assieme alle entità scaturite dalla mente feconda dell’autore contribuiscono a rendere il mondo nel quale Geralt compie le proprie imprese quello che è:
un universo carico di bellezza, brutalità e magia, in grado di ammaliare il lettore facendolo partecipe delle vicende di Geralt, dei suoi viaggi, delle sue lotte, dei suoi travagli.
Un mondo mai esistito eppure così vivo, così immerso nella dimensione del sogno eppure così reale nella descrizione di storie a tratti incredibilmente simili a quelle che noi, comuni mortali immersi nella dimensione del quotidiano, giornalmente viviamo.
Un mondo che sol un grande narratore è in grado di evocare e mettere davanti agli occhi della nostra immaginazione.